Efficienza Didattica
Quarta tappa: le emozioni: la paura |
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Le emozioni: La paura
La paura è un sistema di comportamento difensivo e può operare anche indipendentemente dalla coscienza. Le paure sono tante: alcune, come ad esempio quelle per i ragni, i serpenti e il buio, hanno radici nell’evoluzione della specie; altre, come aerei, armi, allarmi, inquietudine, ansietà, sono paure esistenziali, legate a esperienze negative. Il condizionamento alla paura si impara in fretta e si cancella con difficoltà: la paura dei cani rimane duratura se si è stati morsi da bambini, la si può mitigare, attraverso esperienze successive positive, ma non si elimina mai per cui può ripresentarsi in modo talvolta spontaneo. Le fobie possono essere controllate per anni, ma dopo uno stress ritornano con la stessa potenza. I cambiamenti fisiologici causati dalla paura sono: a) L’organismo si prepara al combattimento o alla fuga. b) Il cervello sceglie quale alternativa sia più utile. c) Le pupille si dilatano per accogliere più luce. d) Il ritmo e la profondità del respiro aumentano. e) Il sangue viene diretto ai muscoli in quantità maggiore rispetto agli organi interni.
Nel cervello la paura procede su due percorsi: il primo, inconsapevole e rapidissimo (appena 12 millesimi di secondo), passa direttamente dal talamo sensoriale all’amigdala che ordina ai muscoli di “stare indietro”. La scelta è poco discriminata: un legno in ombra può essere interpretato come un serpente. Il secondo percorso, consapevole e più lento (30-40 millesimi di secondo), passa dal talamo alla corteccia che deve impedire una risposta errata e che giudica in base all’esperienza se è il caso di aver paura o no. L’amigdala, ricevendo la chiarificazione, ordina una reazione più adeguata.
La memoria e la paura Responsabile della memorizzazione degli stimoli che provocano la paura è l’ippocampo. Due sono le vie che immagazzinano i ricordi: una contribuisce a formare la memoria delle esperienze e dei fatti avvenuti e sono i ricordi coscienti; l’altra, fuori dalla coscienza, controlla il comportamento senza una consapevolezza di come è avvenuto l’apprendimento. I primi sono ricordi dichiarativi o espliciti, perché si possono descrivere con le parole; i secondi sono ricordi non dichiarativi o impliciti. Lo scienziato Claparede lo ha scoperto con un semplice artificio. Egli faceva spesso visita a una persona che aveva perso la memoria, e ogni volta doveva presentarsi come fosse la prima volta che la vedeva. Un giorno le porse la mano tenendo una puntina nel palmo: così la persona si punse. La volta successiva si presentò come sempre, ma l’altro, che non si ricordava di averlo visto né ciò che era successo, si rifiutò di dargli la mano. Ciò fece capire chiaramente la distinzione tra i due tipi di memoria. Nel 1953, per curare un’epilessia molto grave, ad una persona furono asportate parti dei lobi temporali che sono la sede della memoria a lungo termine. Si osservò che egli ricordava benissimo i fatti dell’infanzia e dell’adolescenza, fino a un paio di anni prima dell’intervento, mentre non ricordava nulla di ciò che aveva fatto dopo e non memorizzava nulla di ciò che stava vivendo. Questa situazione manifestava che anche la memoria a lungo termine è di due stadi: il primo ha bisogno delle regioni del lobo temporale per immagazzinare e conservare per un certo periodo i ricordi, il secondo implica altre aree cerebrali, probabilmente della neocorteccia, per conservarli a lungo. Gli stimoli esterni, elaborati dalla corteccia sensoriale, arrivano all’ippocampo che li comunica alla corteccia. Nel corso degli anni l’ippocampo abbandona a poco a poco il controllo dei ricordi alla neocorteccia, dove rimangono finché esiste la memoria. Si è pure osservato che chi è privo del lobo temporale conserva le abilità manuali acquisite anche dopo l’intervento, così come gli amnesici conservano il condizionamento alla paura. Si ritiene quindi che la memoria cosciente o esplicita sia mediata dall’ippocampo e dalle aree corticali connesse, mentre le diverse forme di memoria inconscia o implicita sono mediate da altri sistemi. Un sistema della memoria implicita (non consapevole) è quello della memoria emotiva (paura) che comprende l’amigdala e le aree collegate. In situazioni traumatiche il sistema implicito e quello esplicito funzionano in parallelo. In seguito, l’esposizione agli stimoli presenti durante il trauma può riattivare entrambi i sistemi. Attraverso l’ippocampo ci si ricorda con chi si era e cosa si faceva durante il trauma e anche il fatto in sé. Attraverso il sistema dell’amigdala, gli stimoli provocheranno tensione muscolare, variazioni della pressione sanguigna e della frequenza cardiaca, con il rilascio di ormoni e altre risposte fisiologiche e cerebrali. I due sistemi della memoria operano in parallelo, ma producono funzioni della memoria indipendenti. Può succedere che la memoria cosciente abbia dimenticato nel tempo stimoli che provocavano paura o tensione, mentre quella implicita avverte lo stimolo e mette in atto una paura di cui non si capisce la causa. La memoria esplicita tende a dimenticare, quella implicita non diminuisce con il tempo, anzi può diventare più potente (incubazione della paura). Questo spiega molte fobie e stati ansiosi.
Ansia e fobie L’ansia e la paura sono strettamente imparentate, in quanto, quando si programma una difesa, si mette in conto anche la sconfitta e ciò causa l’ansia. È un aspetto inscindibile della natura umana ed è fisiologico provarla di fronte a un esame o a un lavoro importante. È una spinta all’impegno e quindi utile per ottenere risultati, ma quando supera un certo limite o viene causata dall’attesa di qualcosa che non si conosce (l’esito di una radiografia) può provocare sintomi patologici, come difficoltà di respirazione, sensazione di svenimento o attacchi di vertigine. Questi sintomi possono anche evolvere in un attacco di panico con una forte sensazione di paura, o addirittura di terrore. Secondo recenti statistiche, sono tra il 2 e il 3% le persone che vengono colpite da attacchi di panico così seri da limitare la vita quotidiana e il 30-35% quelli che hanno attacchi lievi e sporadici. A soffrire di veri attacchi di panico sono soprattutto le donne tra i 25 e i 30 anni. I disturbi ansiosi si presentano di solito all’inizio della vita adulta. L’ansia è un indizio della nostra fragilità che nella società attuale è aumentata molto, dato il passaggio dall’età della fede all’età della ragione. La fiducia in Dio o in qualche potenza superiore favoriva la serenità di fronte alle difficoltà della vita, mentre la ragione sgretola ogni ideale e ogni sicurezza, nella ricerca per lo più vana di dare un senso ad ogni cosa. I nostri genitori davano un valore alle loro azioni in base a norme che ritenevano assolute e l’adeguarsi ad esse dava serenità; ora, invece, ogni norma appare transitoria. La responsabilità personale assume un valore molto più elevato, ma genera insicurezze. L’ansia generalizzata consiste in lunghi periodi di preoccupazione immotivata. E’ possibile estinguere la paura facendo intervenire il circuito corteccia prefontale-amigdala attraverso abitudini emotive positive o usufruendo dell’introspezione cosciente che controlla l’amigdala attraverso il sistema della memoria nel lobo temporale. Sappiamo, però, che le connessioni che vanno dalle aree corticali all’amigdala sono molto più deboli di quelle che fanno il percorso inverso; questo fatto spiega come mai l’informazione emotiva sconfina facilmente e influenza il pensiero cosciente, e quest’ultimo fatica invece a controllare le emozioni.
Le vere paure Le paure nell’età matura provengono dalla visione che abbiano di noi stessi di fronte alle nostre responsabilità, ai nostri impegni quotidiani. Pensiamo al genitore che sa di essere determinante nella formazione della personalità del figlio. Le ansie per il mangiare, per il poco tempo che gli può dedicare, per l’incapacità di comprendere le reazioni del figlio. Molte madri, quando i figli hanno un’età che va dai tre ai cinque anni, che è l’età della collera, si buttano a terra e piangono senza motivo e senza fine, mi chiedono se il loro figlio è normale, se sarà così a vent’anni? Nel periodo dell’adolescenza le paure del genitore provengono da stati d’animo vissuti nella sua adolescenza, dai timori indistinti che la società inietta (droga, sesso, violenza), dall’impotenza dei suoi interventi. La ragione ha pochi poteri per diminuire queste paure e frenare l’ansia che ne deriva. La paura che predomina nella nostra vita quotidiana, ma di cui difficilmente ce ne rendiamo conto è la paura di modificare i nostri atteggiamenti, cioè i nostri schemi mentali che lentamente ci siamo formati e agiscono in noi in modo inconscio. Al mattino mi sveglio e la mio animo desidera vedere il sole, assaporare l’aria fresca e il mio cuore vuole esprimere tutta la gioia che prova fischiettando o canticchiando. La mia partner ama un risveglio soft, il sonno dirada lentamente e il silenzio accompagna armoniosamente la lentezza dei movimenti. Talvolta nelle coppie si litiga perché si lascia alzata o no la tavolozza del water. Il cambiamento preteso è sempre quello dell’altro, perché ognuno ha razionalizzato il suo comportamento, elencando gli aspetti positivi, ma di fatto la razionalizzazione nasconde la paura di modificare se stessi. E più siamo rigidi nell’osservare le regole e non accettare le novità, più forte è la paura che si nasconde nel nostro inconscio. Questa paura è il limite maggiore nel nostri atteggiamenti con i figli che con la loro necessaria indipendenza pretendono un notevole cambiamento in noi. I figli sono l’esperienza fondamentale per un genitore e di conseguenza modificano la sua personalità. La presa di coscienza della paura di modificare se stessi permette di comprendere i figli nella loro evoluzione, di accompagnarli nello sviluppo e godere dei loro risultati. La prossima volta vedremo come l’empatia sia il meccanismo che determina il rapporto. L’empatia, però non è solo mettersi nei panni degli altri, è qualcosa di molto di più.
Luigi Grandi Questo indirizzo e-mail è protetto dallo spam bot. Abilita Javascript per vederlo.
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