Efficienza Didattica
Breve storia personale |
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Capitolo 1 Della fisica alla magia
Breve storia personale Fin da bambino sentivo l’esigenza di conoscere e scoprire com’erano fatte le cose, aprivo i giocattoli per vedere com’erano all’interno, io rimanevo incantato per lungo tempo di fronte a due calamite che si respingevano. C’era una domanda che mi premeva dentro: “Perché io sono nato in questo posto? Perché sono senza papà? Perché alcuni nascono ricchi e altri poveri?” La prima parte della mia infanzia è stata abbastanza difficile; io ero timido, capriccioso, e piuttosto “mammone”. Mia madre era rimasta vedova a causa di un infortunio sul lavoro che era accaduto a mio padre, ella era incinta di me al quarto mese, disoccupata, aveva altre quattro bambine, la più vecchia delle quali aveva allora solo 8 anni. Per superare la situazione, mia madre riversò una straordinaria quantità d’affetto su di me. Quando nacqui, unico maschio dopo quattro femmine, mia madre fu molto contenta ed interpretò il tutto come un dono di DIO. Mi fu imposto il nome di mio padre, pertanto sono Camillo junior. Era il 1945 subito dopo la guerra, le cose erano difficili per tutti, ma i nonni materni avevano un mulino per macinare il grano, a quei tempi era considerato una “ricchezza”, pertanto il cibo non mancò mai a casa. Grazie anche all’intervento dell’assistenza pubblica, la vita poté progredire. Dopo un anno mia madre trovò lavoro nell’unica gran fabbrica di Valdagno, l’azienda tessile di Marzotto. La sua presenza in casa fu drasticamente ridotta. A quei tempi l’orario era di 9-10 ore il giorno compreso il sabato. Appena fu possibile, tre sorelle furono mandate in un orfanotrofio femminile abbinato alla Marzotto dove ricevettero una valida educazione e cultura. La più grande rimase a casa perché doveva necessariamente farmi da balia; aveva solo 10 anni e appena finite le elementari fu mandata a lavorare. Mia madre era molto, molto devota; andava sempre in chiesa, di sera a casa ci faceva recitare sempre il rosario, appena poteva di notte a letto mi leggeva l’antico testamento, aveva una fede incredibile. Più volte affermò che aveva tanto desiderato avere un maschio e che aveva chiesto a Dio che fosse un sacerdote; in ogni modo mi aveva consacrato alla Madonna. Ho frequentato l’oratorio assiduamente fino all’età di 19 anni. Per quello che ricordo fino a 15 anni di domenica, sono sempre andato alla messa il mattino, poi alle “funzioni pomeridiane” e alla dottrina. Durante la settimana spesso mi faceva alzare al mattino e prima di andare a scuola andavo a messa; c’era la credenza che facendo la comunione e frequentando la messa ogni primo venerdì del mese per sette volte, ci fosse garantita una morte santa. C’erano tante altre situazioni che invitavano ad andare in chiesa, tipo “ i nove sabati”, poi “i fioretti di maggio”, “l’avvento”. Penso di aver fatto tutto. I primi anni di scuola sono come un sogno vago; non mi piaceva né andare all’asilo né andare alle elementari, mi sembravano tutti modi per allontanarmi da mia madre. Il tempo che la mamma poteva dedicarmi era sempre poco, però in quel breve tempo mi stringeva forte forte, fin quasi a soffocarmi, mi coccolava e io mi sentivo apprezzato e amato, ma ero insaziabile. I voti a scuola in tutte classi elementari erano insufficienti, quattro in "italiano e bella scrittura" (allora si chiamava così) il primo trimestre, cinque il secondo, promosso alla fine per carità cristiana. Dalla terza elementare in poi arrivò un maestro a dir poco scadente. Sapeva solo un po’ di storia; le interrogazioni di matematica spesso si riducevano ad una domanda del tipo: “Conta ad alta voce i numeri da cento a zero”. Parlo della quinta elementare! In compenso aveva una buona strategia per mantenere la disciplina. Usava tre bastoni, uno leggero di bambù, uno medio duro e sottile, uno più grosso per le mancanze più gravi. Ricordo che in almeno due occasioni il maestro ruppe la bacchetta grossa sulla testa del malcapitato. Io non disturbavo troppo a scuola, di solito ero annoiato e distratto. Una delle volte in cui fui punito per alcune chiacchiere, mi rimase in testa il gonfiore causato delle percosse; sembrava si fosse formato un solco nel cranio. Me ne lamentai a casa e mia madre, che sempre dava ragione al maestro, per quell’unica volta (probabilmente impressionata dagli effetti sulla testa) scrisse una comunicazione al maestro pregandolo di non colpire la testa. Il maestro lesse ad alta voce quella comunicazione prendendomi in giro e dandomi del bugiardo. Erano altri tempi!
A metà della quinta elementare mia madre espresse la volontà di mandarmi a frequentare le scuole Medie. A quei tempi occorreva sostenere un esame apposito chiamato “esame di ammissione”. Poiché tal esame era ritenuto difficile i maestri organizzavano dei corsi pomeridiani di recupero per i pochi alunni, i più bravi, che intendevano andare alle medie. Ricordo bene il colloquio tra mia madre e il maestro: “ Signora, suo figlio è stato promosso finora per non appesantire la sua difficile situazione familiare, suo figlio non ha assolutamente le capacità di superare l’esame. Creda a me, da una pianta di rape non può nascere un’anguria!” Ma mia madre aveva una fede incrollabile, e rispose: “E’ il mio unico figlio maschio. Voglio che vada avanti, la Provvidenza mi aiuterà”. Va detto che mia madre nominava così tanto la “Provvidenza” che una delle mie sorelle ha affermato che fino ad una certa età aveva creduto che si trattasse di una donna con questo nome.
Inutile dire che quando andai a sostenere l’esame d’ammissione fui bocciato, all’esame di quinta elementare fui rimandato ad ottobre in Italiano e Scienze, (quest’ultima mai spiegata dal maestro durante l’anno). Questo fu una fortuna. Mi permise di ripetere la quinta elementare: bastò non presentarsi all’esame di riparazione ad ottobre. L’anno successivo mi abbinarono ad una classe il cui maestro era molto stimato. Si trattava del maestro Guarato. Era severo ed inflessibile, ma non usava la violenza fisica; bastava uno sguardo e ti fulminava. La sua classe era sempre la più disciplinata e la migliore. All’inizio d’ogni giorno ci faceva cantare accompagnandoci con l’armonio che era stato predisposto nella sua aula. Questo nuovo maestro eccelleva in matematica. Era un genio, aveva frequentato alcuni anni la facoltà di matematica all’università ma poi intervenne la guerra. Più tardi ho scoperto che scriveva su una rivista nazionale di matematica inventando quiz e problemi firmandosi con uno pseudonimo. Spiegava la matematica in modo splendido con amore e passione, quando poteva ci faceva vedere semplici esperimenti di scienze. Ebbi come un risveglio; infatti, mi era più piacevole stare attento alle sue lezioni piuttosto che rimanere all’interno delle mie fantasie. A metà anno propose alla classe un problema di una certa difficoltà del tipo: In un pollaio ci sono 68 animali, conigli e galline, le zampe sono176. Quanti conigli e quante galline ci sono? In palio c’era un bel voto. Mi concentrai e pensai, se tutti i 68 fossero galline con due zampe le zampe sarebbero state il doppio cioè 68 moltiplicato per 2 = 136 Poiché in pratica però le zampe erano 176 c’erano 40 zampe in più dovute ai conigli che di zampe ne avevano 4. Ora bastava considerare che le 2 zampe di questi conigli le avessi già contate pensando che tutte fossero galline, se dividevo 40 per 2 avrei ottenuto il giusto numero di conigli. Quindi 20 conigli e 48 galline. Per essere sicuro provai 20 per 4 aggiunto a 48 per 2. Dava proprio 176! Alzai la mano e diedi il risultato. Il maestro rimase molto perplesso. Come! L’unico ripetente che pareva aver bisogno di un insegnante di sostegno, si permetteva di superare tutti i suoi alunni educati da quasi tre anni al ragionamento logico. Inoltre c’è da affermare che come ambiente familiare io provenivo da un quartiere povero e malfamato con famiglia senza cultura, mentre i suoi alunni erano di famiglie di ben altra levatura. Superato lo sbigottimento iniziale mi disse: “Ci sei arrivato per caso!” Ero molto timido e il suo modo burbero m’incuteva molta soggezione. Di solito mi sarei chiuso nel mio silenzio, ma quella volta non so come mai riuscii a ribattere: “No! Ho fatto i calcoli”. Mi sfidò a spiegare il problema alla lavagna. Con uno sforzo sovrumano, vinsi l’ulteriore attacco di timidezza, riuscii ad andare alla lavagna e a rifare il ragionamento. Mi diede un bel voto e quel che più conta mi lodò in pubblico. Da quel momento in poi mi diede molta più attenzione e considerazione. Io contraccambiai la fiducia con un impegno nello studio, da me impensabile fino a quel momento. Andai alle scuole medie, ma le mancanze accumulate erano troppo gravi, in particolare in italiano, ripetei anche la prima media, ma a quel punto ormai il progresso era partito. In terza media trovai la professoressa di matematica ideale, umana, sensibile e molto brava nella spiegazione, la chiamavamo col cognome del marito professoressa Lusiani. Ebbi un successo mirabile; capivo l’algebra istintivamente. All’esame di terza media c’era un passaggio algebrico particolarmente difficile. Fui uno dei pochi a risolverlo ma a dire il vero non mi accorsi nemmeno della difficoltà. Fatto sta che la professoressa assieme ad un altro professore di matematica mi chiamò ad un colloquio privato, mi disse che avevo dimostrato sorprendenti capacità logico deduttive, però non riusciva a capire come mai ero stato bocciato per ben due anni. Non sapevo cosa rispondere. Andai all’istituto tecnico e divenni perito chimico tintore. Non trovando subito lavoro, m’iscrissi all’università, scelsi la facoltà fisica perché continuavo ad essere curioso, pensavo che finalmente avrei capito il mondo. L’università si dimostrò molto più difficile di quanto mi aspettavo. Arrivai a studiare anche 14 ore in certi giorni. Imparai a fumare, divenni scettico nei confronti delle strutture religiose, (con grande disperazione di mia madre), in compenso acquistai sicurezza, forza di volontà, e conoscenza. Quando potevo studiavo non tanto per il voto d’esame quanto per il piacere della scoperta. Il metodo scientifico rigoroso mi piaceva, ma mi accorsi che poteva essere anche una prigione. Io avevo un carattere fantasioso, anarchico, amavo valutare le possibilità opposte a quelle convenzionali, mi trovavo a mio agio con quello che era chiamato “pensiero laterale”. M'interessai ad una materia che non avevo studiato a scuola, la filosofia; in particolare alla filosofia della scienza. Alla fine dell’università mi accorsi che la fisica era incompleta. Certo era utile per controllare e capire le leggi superficiali dell’universo, ma appena volevi penetrare nella reale natura del cosmo, se eri spietatamente sincero con te stesso dovevi ammettere che le spiegazioni della fisica erano gravemente insufficienti. Per esempio c’erano i miracoli. Se anche uno solo di essi fosse stato vero crollava il palco. Una settimana prima di laurearmi non sapevo cosa avrei fatto, avevo una tesi in fisica elettronica che riguardava i computer. Si stava passando in quegli anni dai transistor ai circuiti integrati. C’erano molte prospettive nella programmazione dei computer, però vedevo che i miei compagni più bravi di me che avevano già trovato lavoro, erano fagocitati dalle loro attività e smettevano d’essere liberi pensatori. No, io volevo essere padrone del mio tempo, avevo ancora troppe domande senza risposta, mi sarei accontentato di guadagnare poco ma volevo libertà. Proprio in quei giorni un amico mi disse che c’era un posto d’insegnante di matematica; se volevo era mio. Ero perplesso, perché ricordavo la mia antica timidezza, però accettai l’offerta. Mi laureai a metà novembre e il giorno successivo incominciai ad insegnare in un doposcuola pomeridiano alle scuole medie. La prima ora fu disastrosa e terrorizzante. Avevo di fronte 20 demonietti scatenati, già stanchi delle lezioni del mattino con nessuna voglia di fare matematica, questi erano abilissimi a coalizzarsi contro il povero insicuro supplente. La situazione era veramente brutta. A quel punto successe un fatto sorprendente. Alla fine delle ore di supplenza il preside mi chiamò per stipularmi il contratto, affermò che era ben contento di avere un insegnante con una laurea così importante. In quel periodo storico, la mancanza d’insegnanti di matematica era così elevata che si accontentavano anche di studenti del primo anno d’università. Il preside mi fece rilevare che per avere lo stipendio completo avrei dovuto acquisire altre ore di supplenza in diverse scuole. Mi spiegò che con la mia laurea non ci sarebbero stati problemi, egli m’invitò di cercare altre ore di supplenza nell’istituto tecnico industriale dove mi ero diplomato. Mi recai quindi lì e trovai che come preside un mio vecchio e stimato professore di chimica, che fu molto felice di rivedermi e con mia sorpresa mi disse: “Capiti proprio a proposito. Una settimana fa; un nostro giovane professore di fisica (32 anni) è deceduto improvvisamente per un ictus. Ora dato che l’anno scolastico è già cominciato da più di un mese, le graduatorie sono esaurite, da alcuni giorni sto disperatamente ricercando un sostituto. E’ un’incredibile coincidenza che tu ti presenti proprio ora e con la laurea giusta.” “Se vuoi c’è qui una cattedra completa per te. Lavorerai solo 15 ore, ma sarai pagato per 18, estate compresa. Inoltre 6 ore sono di laboratorio ove avrai un tecnico esperto come assistente, ti aiuterà molto se avrai l’umiltà di seguirlo. Infine guarda l’orario: è splendido niente ore buche … ”. “Accetterei senz’altro” risposi “ma ho firmato oggi con l’altro preside.” “Non preoccuparti, telefono io immediatamente e sistemo tutto.” Fu così che mi ritrovai ad insegnare. Nel giro di un mese la timidezza era sparita. Mi accorsi che c’era libertà nell’interpretazione dell’insegnamento, mi sbizzarrii in metodi nuovi e mi entusiasmai. Dopo qualche mese gli alunni mi diedero molta soddisfazione: mi dissero che l’altro professore era si bravo, ma le sue ore erano preoccupanti; io rendevo tutto piacevole e divertente. La fisica era diventata una bella materia. Ancora oggi, dopo oltre 30 anni, ho rapporti con alunni di quelle prime classi con stima reciproca. Da allora ho percorso molta strada impegnandomi a fondo nella didattica. |