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Lo sviluppo dell'intelligenza vista attraverso lo sviluppo della parola PDF Stampa E-mail

Lo sviluppo dell’intelligenza

vista attraverso lo sviluppo della parola

 

La parola è un insieme di suoni o di segni, ma è soprattutto ciò che ci distingue dagli altri esseri viventi. Non è legata alle cose o alle immagini, ma le esprime: è un simbolo. Rappresenta la capacità dell’uomo di essere nella realtà quotidiana pur essendone staccato, e quindi di poterla osservare, comprendere e modificare: è l’espressione del pensiero. Il modo di comunicare la parola (orale, scritto, visuosonoro) ha influito sull’evoluzione stessa dell’intelligenza. L’umanità ha perfezionato nei millenni le capacità sia di operare mentalmente che di comunicare e questa immensa ricchezza viene trasmessa ai nostri figli sia geneticamente che attraverso la cultura: è interessante il fatto che ogni persona nei primi quattordici, quindici anni di vita ripercorre l’evoluzione intellettiva compiuta dai nostri antenati. Conoscere tale evoluzione significa entrare nel mondo del bambino nelle diverse età e donargli ciò di cui ha bisogno in quel momento.

Verso il 40.000 a.C. dalle grida intenzionali si passa all’introduzione di comandi e si arriva verso il 25.000 a.C. all’attribuzione di nomi a cose e animali: Ai nomi propri si arriva verso il 10.000 a.C.

 

Parola ascoltata

All’inizio della Storia e della nostra vita, la parola è trasmessa in modo diretto, da persona a persona. Con le parole, attraverso il tono della voce e l’atteggiamento del viso, viene comunicato l’animo di chi parla. È una comunicazione che provoca emozioni e sentimenti. Le parole danno un nome, un’ identità alle cose e alle azioni, favorendone la conoscenza e fissandole nella mente, dove rimangono come immagini e incrementano la fantasia. Ciò che viene comunicato assume importanza da chi lo comunica e il suo valore deriva dalla fiducia tra chi parla e chi ascolta.

È questo il mondo vissuto dalla Civiltà Orale e dal bambino nella prima infanzia.

 

Predominio dei sentimenti e della fantasia

Conosciamo la Civiltà Orale attraverso l’Iliade e l’Odissea. Nella guerra di Troia gli dei partecipano con passione alle imprese e ne decidono le sorti: sono fortunati gli eroi protetti dagli dei che sanno imporsi con la forza o con l’astuzia. L’uomo, essendo impotente, raccomanda agli dei il suo destino con preghiere e sacrifici.

L’ira di Achille o l’amore di Ettore per la patria esprimono un mondo di emozioni e sentimenti spesso violenti, senza pietà, in cui l’amore e la gelosia scatenano le guerre.

Fantasia e realtà si confondono come nell’episodio delle Sirene, che attirano con il loro canto i naviganti, lasciandoli morire in mare.

 

Le parole fissano le immagini

Verso i due/tre anni l’ippocampo, che è il centro della memoria, raggiunge la maturazione neurologica e il bambino comincia a trasferire nella sua mente la realtà che percepisce con i sensi. Si costruisce nella mente un mondo fatto di immagini che rispecchia quello esterno. Le parole danno un nome a ogni parte di questa nuova costruzione identificando cose e azioni.. Nella mente del bambino l’immagine del drago ha lo stesso valore del cane di casa. Le parole dell’adulto mettono in comunicazione il suo mondo con quello del bambino, ma l’interpretazione dei soggetti non sempre coincide. Per l’adulto la parola è astrazione, per il bambino è legata all’immagine, al tono della voce e all’espressione del viso. La prima immagine che si forma nel bambino è il volto dei genitori che riassume gli innumerevoli momenti di comunicazione attraverso parole, tono e gesti. Nascono in questo modo i sentimenti più profondi che lo accompagneranno per tutta la vita. I genitori sono il tutto e la condivisione delle loro attenzioni con altre persone scatena nel bambino una reazione difficilmente controllabile: la gelosia. Anche la  necessità di imporre norme di comportamento provoca la collera che perdura fino a quattro, cinque anni, cioè fino a quando il bambino sperimenta che le pretese del genitore non gli tolgono l’amore e la fiducia diventa totale.

Il bambino assorbe tutto senza alcun senso critico: egli vive ciò che gli viene proposto come l’unica realtà possibile.

 

Parola scritta

Nel 1500 a.C. nasce in Palestina la scrittura alfabetica. I Fenici la esportano adattandola alla loro lingua: i

nizia la comunicazione indiretta. La parola scritta può essere letta in tempi e luoghi diversi, rimane nel tempo e può essere analizzata: la mente dell’uomo diviene così operativa. È in Grecia che la scrittura si completa con le vocali tra il nono e l’ottavo secolo e dopo qualche secolo nasce  il periodo dei grandi filosofi. Con Socrate la parola si svincola dall’azione e dall’immagine per diventare concetto: atti di generosità diventano la “Bontà”, un concetto che si stacca dalle caratteristiche delle singole situazioni, esprimendole tutte insieme. Con Aristotele il concetto di “Bontà” viene accostato al concetto di “Giustizia” e di “Generosità”, formando la categoria “Virtù”; così il pensiero organizza la realtà con regole assolute e rigide. Con la Scuola Alessandrina si approfondiscono le leggi della natura, al punto che viene calcolato persino il diametro della terra. Gli scritti permettono di confrontare le esperienze e di osservare cause ed effetti che collegano gli accadimenti umani.  Il diritto romano pone le basi per l’organizzazione sociale. Nel medioevo i re e la religione impongono il loro potere sia sulla conoscenza che sulla divisione della società in classi sociali.

 

Dall’immaginazione alla conoscenza della realtà e alla scoperta di sé

Con l’apprendimento della lettura e della scrittura, la parola diventa un simbolo che racchiude gli elementi essenziali delle cose: il concetto. Diventa possibile cogliere i rapporti che esistono tra i vari elementi e come questi sono organizzati tra loro: la definizione distingue un elemento da ogni altro.

Il ragazzo inizia a conoscere le leggi della natura e del comportamento sociale. Le regole lo pongono a confronto con gli altri suoi coetanei nelle abilità fisiche. Scopre che ogni persona ha un ruolo nella società: egli, come scolaro, deve accettare le regole dell’insegnante e, come atleta, quelle dell’istruttore. Punta alla conquista dei risultati, accettando l’impegno e il sacrificio. Ritiene giusta la punizione quando infrange una regola e l’autorità del genitore e dell’educatore non è messa in dubbio.  Inizia la formazione dell’autostima: il giudizio dei genitori e degli educatori sulle sue capacità o sulle azioni che egli compie determina la visione di sé.

 

La stampa o comunicazione universale

Nel quindicesimo secolo, grazie all’invenzione della stampa, i libri vengono diffusi in infinite copie  identiche, con la definitiva differenziazione tra il dato oggettivo, cioè l’originale, e la sua interpretazione. La vista prende il sopravvento sull’udito, favorendo il metodo analitico, cioè l’esame accurato di ogni particolare. La scienza compie passi determinanti: dal parlato e discusso passa all’osservazione diretta della natura. Ai tre scienziati inviati dal Papa che negavano le sue teorie, Galileo Galilei propone di guardare il cielo con il cannocchiale. La ragione mette in crisi tutte le certezze tramandate, la Rivoluzione Francese pone fine all’autorità divina per venerare la dea Ragione. Il pensiero filosofico risolve l’intera realtà nell’esperienza dell’io, produttore delle “idee”. Tutto ciò che è razionale rappresenta la verità; gli istinti, i sentimenti e le emozioni devono essere controllati, perché possono risultare dannosi.

 

Il periodo del confronto

Dopo i dodici/tredici anni, la ripresa dello sviluppo fisico, l’esplosione dei sentimenti e il bisogno di raggiungere una maggiore autonomia costringono il ragazzo a osservare i suoi cambiamenti. Si accorge che le regole che gli vengono imposte non sono uguali per tutti e possono variare a seconda delle situazioni. Inizia così a pensare con la sua testa e pone l’esperienza come momento fondamentale per distinguere il bene dal male. Il suo modo di ragionare è lineare, perché la sua esperienza è ancora limitata. La domanda classica che egli si pone è: “Se Dio è buono, perché permette il male?”. Si chiede quale senso abbiano certe conoscenze proposte dalla scuola dal momento che i suoi problemi sono di ordine diverso. La partecipazione al gruppo diventa lo strumento per diminuire le tensioni quotidiane e per conoscersi meglio nel confronto con i coetanei. Il rapporto, spesso teso, con i genitori gli permette di smussare la rigidità della ragione per comprendere, attraverso l’esperienza, come guidare il suo agire. Diviene fondamentale il confronto. La strada che porta all’autonomia non è lastricata di conoscenze, ma di decisioni (responsabilità). Le scelte uniscono conoscenza ed emotività, ideali e situazioni concrete. E’ il confronto tra persone che si vogliono bene. La fiducia diventa determinante.

 

 

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